In Libia le tensioni tra i paesi che sostengono il fronte del Governo di accordo nazionale (Gna) e l’Esercito nazionale libico (Lna) si sono intensificate. Il 20 giugno il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha dichiarato che il suo paese ha il diritto legittimo di intervenire nel paese limitrofo, assicurando che l’apparato militare egiziano è pronto ad attivarsi, qualora fosse necessario. Dopo tale dichiarazione di fuoco, il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Adel bin Ahmed al-Jubayr, ha rilasciato una dichiarazione in cui i sauditi confermano il loro sostegno al Cairo e la loro solidarietà con le misure che al-Sisi sarà costretto a prendere per salvaguardare la sicurezza dei propri confini.
L’Arabia Saudita ha inoltre affermato che la sicurezza dell’Egitto è parte integrante della sicurezza del Regno e dell’intera nazione araba e che Riyadh sarà al fianco del Cairo nella lotta al terrorismo e all’estremismo islamico nella regione.
Se inizialmente la posizione di Riyad nella questione libica era di basso profilo, la scelta di Haftar di lanciare l’offensiva su Tripoli più di anno fa è stata determinata anche dal cambio di passo della potente Arabia Saudita nel conflitto tra Gna e Lna. Nel mese di marzo dell’anno passato, Haftar è stato ricevuto con grandi onori nella capitale saudita dove ha incontrato re Salman, ministri e personalità di alto livello. Haftar ha, inoltre, avuto in quell’occasione un colloquio con il controverso erede al trono e ministro della Difesa Mohammed bin Salman. Ai sauditi era particolarmente piaciuta la posizione espressa dal feldmaresciallo libico secondo la quale in Libia non sarà permessa la nascita di un partito armato simile a quello sciita libanese Hezbollah. Non che nel paese nordafricano esista veramente la possibilità della nascita di un movimento simile a quello libanese, ma Riyadh ha scommesso sulla forza di Haftar per provare ad allontanare dal potere le formazioni sponsorizzate da Doha e Ankara, le principali rivali del Regno saudita nella regione.
Il sostegno garantito dall’Arabia Saudita e dagli Eau ad Haftar è legato principalmente alle logiche del confronto politico e religioso con il Qatar e la Turchia. Nell’ex colonia italiana Doha favorisce, insieme ad Ankara, la Fratellanza musulmana, fortemente osteggiata da sauditi ed emiratini. L’Arabia Saudita condivide con l’Egitto e con gli EAU la percezione della minaccia rappresentata dai fratelli musulmani, in quanto espressione di un modello partecipativo e popolare, in diretta contrapposizione con il modello assolutista e verticale espresso dalle monarchie del Golfo. Per tale ragione sostengono quindi Haftar nella sua campagna politica, portando tuttavia, nel tempo, un elemento esogeno nella già complessa situazione sociale del paese nordafricano, con la conseguenza di una sempre maggiore destabilizzazione del quadro locale libico.
La condotta sempre più assertiva dell’Arabia Saudita in Libia può essere spiegata, quindi, col suo desiderio di contrastare l’intervento militare e politico della Turchia a sostegno del Gna e di stabilire un punto di appoggio diplomatico a lungo termine in Libia. Il Regno considera l’assistenza turca al governo guidato da Fayez al-Serraj, che è coincisa con l’avvio delle operazioni di esplorazione della Turchia nel Mediterraneo orientale, come una minaccia alla stabilità regionale. Al fine di dimostrare la sua solidarietà con l’Egitto, uno dei principali alleati di Riyadh nel mondo arabo, ed evidenziare la sua opposizione alla condotta turca, l’Arabia Saudita ha rafforzato la propria alleanza con Haftar.
In Libia, il sostegno saudita all’uomo forte della Cirenaica è aumentato con il passare dei mesi. Il crescente coinvolgimento dell’Arabia Saudita nel paese nordafricano è evidente sia nella sfera diplomatica che in quella militare. Il 13 gennaio scorso, il ministro degli Esteri algerino, Sabri Boukadoum, si è recato a Riyadh per discutere del processo di pace in Libia, e l’ambasciatore delle Nazioni unite in Libia, Taher al-Sonni, ha incontrato il rappresentante permanente dell’Arabia Saudita presso l’Onu, Abdullah al-Muallami, sempre nel mese di gennaio, per discutere della risoluzione del conflitto libico. Il 24 gennaio, il quotidiano francese Le Monde riferiva che l’Arabia Saudita avrebbe fornito assistenza finanziaria al gruppo Wagner, l’organizzazione paramilitare russa che impiega mercenari per sostenere le forze affiliate all’uomo forte della Cirenaica. Riyadh ha assunto un ruolo meno visibile rispetto all’azione svolta dagli EAU, ma avrebbe fornito decine di milioni di dollari in assistenza finanziaria all’Lna prima dell’offensiva lanciata da Haftar volta alla conquista della capitale Tripoli.
Il Regno saudita non ha solo fornito sostegno finanziario all’Lna e al gruppo Wagner, ma diplomatici sauditi e organi di informazione hanno anche aiutato e supportato la causa di Haftar, delegittimando attivamente l’intervento militare della Turchia nel paese nordafricano. La copertura mediatica saudita ha sottolineato le implicazioni negative della condotta di Ankara per tutto il periodo delle operazioni militari. Per citare un esempio, in un articolo del 4 febbraio sul quotidiano saudita Asharq al-Awsat, veniva riportata la notizia del calo delle entrate nei porti commerciali della Libia occidentale causato dall’incessante traffico di armi e di mercenari da parte turca.
Tuttavia, le politiche economiche e le risposte saudite ed emiratine verso la Turchia rivelano una divergenza significativa. Le fratture geopolitiche tra Ankara e Abu Dhabi si rispecchiano nelle strette relazioni economiche, mentre è vero il contrario per Ankara e Riyadh, dove le relazioni economiche tra questi ultimi due paesi rimangono stabili, nonostante le loro differenze diplomatiche. Mentre gli scambi bilaterali tra Turchia ed EAU sono diminuiti drasticamente tra il 2017 e il 2018, le esportazioni saudite in Turchia sono diminuite solo del 4% dal 2017 al 2018 (per poi stabilizzarsi nel 2019), nonostante le proteste di Riyadh per l’alleanza turco-qatariota e le polemiche seguite all’assassinio del giornalista Jamal Kashoggi. Anche gli investimenti diretti sono rimasti sostanzialmente invariati. Nonostante i disaccordi nel paese nordafricano, i consulenti Sak sauditi hanno annunciato un investimento di 100 milioni di dollari nel settore agricolo e immobiliare turco. La stabile relazione economica turco-saudita sembrerebbe essere salvaguardata soprattutto dal presidente Erdoğan. Anche durante i momenti di tensione, il turco è stato attento a non provocare mai in maniera decisa l’Arabia Saudita.
Sebbene il rafforzamento del sostegno di Riyadh ad Haftar sia stato innescato dall’intervento della Turchia nel conflitto, secondo molti osservatori l’Arabia Saudita sta tentando di creare una sfera di influenza in Libia. Questa vedrebbe l’allineamento con il movimento Madkhali Salafi, seguaci di una dottrina musulmana sunnita ultra-conservatrice originaria dall’Arabia Saudita, che hanno acquisito grande influenza in tutta la Libia, anche tra i principali gruppi armati e istituzioni religiose. Nonostante abbiano aiutato a combattere lo Stato Islamico nel periodo della sua espansione sul territorio libico, la loro ascesa è divisiva e potrebbe complicare gli sforzi per risolvere il conflitto civile. Presenti in Libia già ai tempi di Gheddafi, i madkhaliti sono ideologicamente affini ai Saud, pur differenziandosi dalla loro rigida interpretazione waabhita.
L’Arabia Saudita ha tratto sicuramente profitto dalla crisi in Libia. Riyadh è stata in prima linea tra i paesi della Lega araba che hanno partecipato all’intervento nel paese nordafricano nel 2011. L’interminabile guerra civile libica ha fatto sì che il paese maghrebino rimanesse al di fuori del mercato internazionale dell’energia. Il Regno dei Saud ha due scopi in Libia: uno è l’inclusione dell’ex colonia italiana nei propri progetti energetici per ottenerne il pieno controllo attraverso Haftar e l’alleato egiziano; l’altra è l’esclusione della stessa Libia dai progetti energetici internazionali, e in tale ottica continua ad alimentare sottobanco il caos all’interno del paese. Da un lato, così come in Siria, l’Arabia Saudita finanzia i gruppi armati salafiti al fine di aumentare l’instabilità. Dall’altro, sostenendo chi lotta contro tali gruppi, si impegna nella politica dei paesi coinvolti.
Poiché gli interventi stranieri nei conflitti hanno quasi sempre portato a una competizione tra i paesi interessati a trarre i maggiori benefici dalla ricostruzione del dopoguerra, anche nel caso libico ciò significa stimolare i miliardi di dollari di attività economica che si muoveranno una volta finita la guerra. In questo caso Riyadh potrebbe scontrarsi con i piani di egemonia di Abu Dhabi. Gli EAU mirano a essere i primi ad accumulare una vasta fortuna dalla ricostruzione del paese dilaniato dal conflitto. Le tensioni all’interno del Golfo hanno anche contribuito alla militarizzazione per i contratti di ricostruzione. Sebbene il Qatar sia stato avveduto riguardo agli investimenti in Libia a causa dell’instabilità del paese, Riyadh e Abu Dhabi temono che uno spostamento dell’equilibrio a favore del Gna provocherà un afflusso di investimenti dell’asse turco-qatariota nel paese nordafricano. Anche se la gara per i contratti di ricostruzione è rimasta fuori dai titoli dei giornali, è una delle principali cause della crisi in corso. Una volta terminata la guerra, le rivalità geoeconomiche potrebbero quindi minare la vera ricostruzione dello stato libico.
L’Arabia Saudita, come del resto EAU ed Egitto, è consapevole dell’improbabilità che Haftar riesca a raggiungere l’obiettivo di riunificare la Libia sotto l’Lna. Il feldmaresciallo dovrà probabilmente accontentarsi di controllare la regione orientale e quella meridionale del paese. Ciò potrebbe avvenire attraverso un accordo di partizione o a seguito della creazione di uno Stato federale. In quest’ottica sembra sempre più probabile una pressione diplomatica delle monarchie del Golfo su paesi come USA, Francia e Russia affinché venga accettata una soluzione di questo tipo che possa garantire loro gli investimenti in Libia.
Mario Savina